Riflessioni ad alta voce
Vorrei indicare alcuni punti su cui riflettere, specialmente in questo anno della fede, promulgato dal papa Benedetto XVI. Trascrivo un passo della Lettera apostolica "Porta Fidei": "Ho ritenuto che far iniziare l’Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all'interno della Tradizione della Chiesa … Sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre”. Io pure intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a Successore di Pietro: “se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa”. (n. 5).
Il primo consiglio che vorrei offrire ai sacerdoti è quello di prendere in mano la Costituzione Sacrosanctum Concilium e rileggerla, meditarla, approfondirla insieme alla comunità cristiana, specialmente con i gruppi più impegnati della parrocchia. Per tutta la generazione dopo il Concilio (i cinquantenni di oggi), la riforma liturgica non è stata una conquista, ma un dato acquisito. Loro hanno sempre celebrato così, non hanno vissuto il passaggio dal vecchio rito al nuovo. Insisto nel suggerirvi di rileggere il capitolo VI sulla musica liturgica; dopo tanta pratica celebrativa è opportuno fermarsi e chiarire i principi fondanti del cantare nella liturgia. Rileggere il capitolo VI non separandolo da tutta la Costituzione liturgica, ma come parte integrante e conseguente dei principi fondamentali liturgici, redatti nei primi capitoli.
Il vero significato del canto liturgico
C'è da osservare che usiamo il canto liturgico come un oggetto e basta; dobbiamo ancora comprendere ed applicare il suo valore di segno e di simbolo all'interno della celebrazione. Da tale convinzione ne deriverà l'urgenza della formazione e preparazione dei nostri animatori musicali. Devo lamentare ancora tanta improvvisazione, pressapochismo, disarmonia nel canto liturgico. Nel replay della Rai, durante la settimana, vedo le messe televisive della domenica; offrono uno spaccato delle nostre liturgie domenicali. In tutta onestà occorre ammettere che bisogna ancora impegnarsi e lavorare per un canto liturgico più pertinente e adeguato sia nella scelta dei singoli canti e sia in una maggiore diligenza esecutiva specialmente vocale e a volte anche strumentale. Il punto di svolta, a mio parere, è la presenza di un musicista preparato che prende in mano la situazione musicale della parrocchia. Cosa intendo per musicista di chiesa: un giovane con una buona preparazione musicale, possibilmente con anni di studio serio alle spalle; una formazione liturgica adeguata e profonda, una vita spirituale seria, una esperienza celebrativa acquisita attraverso corsi di aggiornamento e con il supporto di libri e riviste varie. Solo questa è la strada che porterà ad un vero cambiamento celebrativo, non ci sono scorciatoie né ci si può affidare ad un volontariato, il più delle volte, superficiale e provvisorio.
Il silenzio nella liturgia
Un'altra riflessione riguarda il silenzio; siamo immersi quotidianamente nel chiasso, sommersi da rumori e suoni vari di ogni genere e intensità. In casa, per strada, negli ambienti di lavoro è presente un inquinamento acustico alto; hanno forse torto tante persone che vorrebbero almeno in chiesa trovare un po' di silenzio? Il canto e la musica sono elementi indispensabili per la liturgia e la preghiera, ma si pone il problema di usarli con discernimento. Ci sono musiche che fanno intendere la Parola e musiche che la oscurano; ci sono musiche precedute e seguite dal silenzio e musiche che fanno soltanto rumore. Cosa scegliere? Chi decide? Siamo sicuri di quei principi ripetuti in questi anni di riforma: la chiesa allontana i giovani se non usa la loro musica, i loro gesti, le loro parole? Non si può opporre la musica popolare alla musica colta, alta; nella liturgia non si può scegliere l'una opponendola all'altra. Ambedue hanno cittadinanza, ma in riferimento sempre all'azione rituale e all'assemblea presente. È sempre valido il trinomio: musica, liturgia, cultura, da coniugare insieme.
Stanchezza e routine celebrativa
Tempo fa' i vescovi denunciarono "una certa stanchezza" delle nostre liturgie, che significa celebrare in modo automatico senza convinzione e partecipazione. Questo celebrare è una delle cause della reazione da parte di giovani, anche chierici e novizi, per un ritorno a vecchi formalismi che la riforma ha voluto superare. Ciò significa che qualcosa non ha funzionato, ma soprattutto che l'attuale celebrazione non è compresa, vissuta e celebrata in un modo degno e vitale. C'è una routine sempre in agguato che non alimenta la nostra fede e la nostra vita cristiana. Un altro modo di reagire alla stanchezza è la ricerca dello spettacolare. Stiamo correndo il rischio, abituati come siamo dai vari spettacoli televisivi, di trasformare la liturgia in ricerca del sensazionale, della stranezza, del colpo ad effetto; premendo il piede sull'acceleratore di emozioni forti, di sensazioni sorprendenti, di improvvisate a sorpresa. Tutto ciò a scapito del silenzio, della interiorità, della semplicità; la nobile semplicità di gesti, segni e parole, di cui parlava il Concilio. E la musica può fortemente orientarci in una o nell'altra direzione. Una musica spettacolare e gridata a discapito di una musica semplice e di un cantare liturgico. Formalismo e spettacolarità a svantaggio della semplicità e bellezza del rito cristiano. Non dimentichiamo la semplice povertà dei mezzi e segni che la liturgia ci fa usare: un pezzo di pane, un sorso di vino, acqua semplice di fontana, olio profumato d'ulivo. La liturgia deve farci scoprire e vivere il mistero; allora canto e musica possono diventare veicolo privilegiato per tuffarci in tale mistero e scoprire il volto di Cristo.
Alternanza fra feriale e festivo
Ancora un'altra riflessione: l'alternanza fra la celebrazione feriale e quella festiva. È una diversità utile da attuare per non appiattire tutto e rendere uguale la festa e il giorno feriale. Il cammino dell'anno liturgico ci offre un a guida illuminata per alternare i vari giorni e le varie celebrazioni: feria, memoria, festa, solennità. Anche nella scelta dei canti, dei segni e delle preghiere dobbiamo tener conto di questa differenza. Non si possono ogni giorno cantare tutti i canti previsti dal rito, non sempre è utile scambiarsi il segno della pace ogni giorno; nemmeno la preghiera dei fedeli è obbligatoria ogni giorno, come anche l'omelia quotidiana. La persona ha bisogno di cambiare, di differenziare, di alternare, di variare; non possiamo cantare gli stessi canti dell'ordinario sia in un giorno feriale e sia la domenica. Come pure la solennità esige un apparato di canti che si differenziano dai canti quotidiani. È bello ritrovarsi a Natale con canti diversi che esprimono il senso e il significato della festa. Che valore ha un cantare quotidiano, affidato alla buona volontà di alcuni habitué, privi di una benché minima conoscenza e preparazione del fatto sonoro. Ci vuole un progetto e una regia musicale che guidi le scelte operative. Si può procedere dal semplice Alleluia cantato ogni giorno feriale a cui aggiungere il Santo in altri giorni, per poi solennizzare la memoria, la festa e la solennità, aggiungendo sempre altri canti, dai rituali a quelli di accompagnamento. In questo modo si combatte l'assuefazione, il canto esprime realmente i vari tempi liturgici e anche l'interesse e la partecipazione delle assemblee viene educata e purificata. Dal silenzio quotidiano alla grande musica del giorno di festa; dal semplice canto quotidiano alla ricca polifonia festiva in cui veramente l'intera comunità loda e canta con squilli di tromba, con arpa e cetra, con timpani e danze, con corde e sui flauti, con cembali sonori (cfr. Salmo 150).
Lo stesso ragionamento va fatto per la preghiera dei fedeli, per la processione offertoriale, per l'omelia quotidiana: una regia attenta sa scegliere e orientare tali interventi tenendo conto dell'alternarsi dell'anno liturgico. Alla base c'è sempre la preoccupazione di fare qualcosa, di pronunciare delle parole, di realizzare dei movimenti, altrimenti sembra che la partecipazione sia insufficiente e lacunosa.
I consigli degli esperti della comunicazione devono in qualche modo essere accolti anche all'interno della comunicazione liturgica, verbale e non verbale. Fanno parte di questa comunicazione non verbale i movimenti del corpo, l'aspetto vocale (volume, tono, frequenza, ritmo, silenzio) l'aspetto verbale (parole). Solo in minima parte l'efficacia di un messaggio dipende dal significato letterale delle parole, invece il modo in cui viene percepito tale messaggio è influenzato pesantemente dalla comunicazione non verbale.
Vorrei concludere queste riflessioni con l'invito del papa espresso nella lettera apostolica "Porta Fidei": Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un'occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia, che è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia”. Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata, e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo Anno". (n.9).
don Antonio Parisi