Lettere: La tendenza a trasformare le chiese in un set televisivo
(Vita Pastorale, febbraio 2018)
Alcuni video di vari balletti inseriti all’interno della celebrazione della messa, da un po’ di tempo circolano su youtube. Vengono preparati e guidati da giovani sacerdoti che credono in questo modo di rendere più viva e partecipata la celebrazione. L’impressione che se ne ricava è di uno squallore unico al limite della sconvenienza. A volte ci si spinge oltre facendo ballare, si fa per dire, anche anziani, per lo più donne, giustificando tutto come partecipazione attiva.
Vorrei chiarire e ribadire alcuni concetti.
Noi non siamo i padroni del rito; esso ci viene consegnato dalla Chiesa; non lo possiamo né cambiare né stravolgere con aggiunte, postille o eliminazioni varie. Il rito è stato ampiamente aggiornato e adattato ai nostri tempi con la Riforma Liturgica del Vaticano II; pertanto sta a noi renderlo vivo e parlante senza sconvolgerlo. Siamo noi fedeli che dobbiamo entrare nel rito e farlo nostro; indossarlo come un abito su misura.
Un’altra precisazione: dopo più di 50 anni di Riforma non riusciamo ancora a capire il vero senso e significato di partecipazione piena, attiva, consapevole, così come ci è stata raccomandata dalla Riforma Liturgica. Partecipazione attiva si intende quella interiore ed esteriore; l’ascolto, il silenzio, e poi la preghiera, sono le dimensioni della partecipazione vera. Poi essa diventa parola, canto, gesti e movimenti: ma realtà tutte già presenti nel rito. Non occorre inventarsi altri segni o gesti o balletti vari perché ci sia partecipazione vera.
Altro argomento: i giovani. Si cerca di interessarli sposando i loro balli, le loro canzoni, i loro modi di comunicare. Va bene, ma facciamolo negli oratori se proprio non abbiamo altri metodi educativi e di coinvolgimento attivo. Vogliamo interrogarci sul serio una buona volta?. Cosa cercano i giovani venendo in chiesa? Cosa offriamo noi educatori per accrescere la loro fede e la loro vita cristiana? Forse che dopo quel balletto (L’esercito del Cristo) avete fatto un passo in avanti verso la comprensione della vita cristiana.
Ancora un’altra riflessione: da qualche anno vedo sempre più le nostre chiese trasformate in luoghi dove si chiacchera senza alcun ritegno; mancanza di rispetto nel modo di vestirsi (che problema serio sta diventando la celebrazione dei matrimoni) e di comportarsi. C’è una tendenza a voler trasformare le nostre chiese in un set televisivo o cinematografico: luci, microfoni, telecamere, arredi vari, fiori, abiti: tutto è concesso, tutto è permesso.
Urge una campagna per imparare di nuovo un galateo liturgico-musicale all’interno delle nostre chiese.
Ma, la buona fede dei giovani dove la mettiamo, perché siamo contrari? Dirà qualcuno. Ma buona fede non significa indurre i ragazzi a pensare che in chiesa possiamo fare di tutto. Buona fede non vuol dire inserire balli e musiche di dubbio gusto, solo per attirare i giovani. Forse che non trovano di meglio e di più appropriato nelle loro discoteche e sale da ballo?
E che dire di canzonette che accompagnano a volte i balli e tante volte anche vengono inserite all’interno dei vari riti? Dove è “la differenza cristiana” (leggetevi il bel libro di E. Bianchi) nel modo di parlare, nel modo di comportarsi, nel modo di cantare, nel modo di essere cristiani? Viviamo nel mondo, ma non siamo del mondo.
Gesti, movimenti, canti, segni: il rito già prevede questi mezzi, utilizziamoli al meglio senza ricercare altre novità banali e insignificanti; forse la nostra preghiera liturgica diventerà più vera, profonda e intensa.
don Antonio Parisi