LIBRO DI DON ANTONIO PARISI
(in libreria alle Paoline)
PRESENTAZIONE
È opportuno fermarsi per qualche istante e interrogarsi su questi cinquant’anni di riforma della liturgia e della musica liturgica. Vorrei narrare questo cammino fatto di luci e ombre, di passi in avanti e nostalgie retrospettive, di momenti di stanca e di entusiasmi passeggeri. A che punto siamo? Dove ci stiamo dirigendo?Testi e contenuti della riforma sono stati realizzati, ed era il passaggio affidato agli esperti e alle commissioni di lavoro; invece l’altro livello, quello della comunità, cioè gli utenti della liturgia, si è imposto con fatica e ha ancora bisogno di interventi e di approfondimenti. Una rilettura e uno studio dei vari documenti va inserito di nuovo in agenda; si pensa, da parte di non pochi sacerdoti, che basta essere utenti della liturgia per diventare automaticamente degli esperti. Ovviamente queste pagine affronteranno il problema del canto e della musica all’interno della celebrazione, con tutte le conseguenze che ne derivano per i vari responsabili e fruitori del canto. Non intendo compiere una trattazione tecnica e completa, ma solo presentare alcune considerazioni ad alta voce su temi ricorrenti, tuttora attuali e ancora irrisolti: la partecipazione dell’assemblea, gli attori del canto, l’uso degli strumenti, le forme musicali nella liturgia, la formazione, il silenzio. Questi e altri argomenti riguardano non soltanto gli operatori musicali, ma anche i pastori e i liturgisti, perché tale materia deve riguardare la loro azione pastorale. Le fratture di oggi fra tradizione e innovazione, fra musica colta e musica popolare hanno una storia molto più antica, non sono conseguenza della riforma. Già dal VI secolo si crea una distanza fra l’assemblea e i ministri 6 incaricati; i fedeli diventano sempre più assistenti e il canto diventa sempre più esercizio e impegno esclusivo dei cantori e dei chierici. L ’uso della lingua latina e le difficoltà tecniche di tanti canti escludono completamente la partecipazione dei fedeli. Nel secondo millennio si verifica l’invadenza della musica sui riti e la presenza di cantori professionisti che di fatto escludono l’assemblea. La riforma, per correggere queste fratture, ha messo l’accento sull’assemblea come soggetto della celebrazione, sulla parola di Dio annunciata nella propria lingua, sul canto come forma privilegiata di partecipazione ai vari riti. Si è cercato di coniugare insieme il binomio testo e musica da una parte e rito-assemblea dall’altra parte. Rimane tuttora la tentazione di giudicare un canto liturgico a partire soltanto dalla musica, trascurando gli altri aspetti rituali e comunitari. Sono presenti nella costituzione conciliare due parole – munus ministeriale – che indicano la strada da percorrere per la musica liturgica. Funzione ministeriale del canto e della musica: tutto viene collegato al rito e tutto parte dal rito, qui tutto si ricompone e tutto vi trova cittadinanza. Non è una semplice funzionalità che viene segnalata, come hanno pensato alcuni, ma si recupera all’interno del rito l’elemento simbolico, estetico, solenne, emozionale. Non basta solo cantare, ma occorre celebrare cantando, ecco la grande sfida della riforma. Questi anni sono stati un periodo di grandi discussioni e polemiche interminabili, fra tradizionalisti e innovatori, fra musicisti e liturgisti, fra giovani e adulti, fra cori e assemblee, fra Associazione Italiana Santa Cecilia (Aisc) e Universa Laus (UL); abbiamo fatto litigare anche gli strumenti (organo contro chitarra) e le forme musicali (inni e corali contro le canzoni). La battaglia è terminata con alcuni protagonisti ormai morti con le loro convinzioni, altri arroccati sul monte Aventino, altri ancora attivi nella mischia quotidiana. Il guaio è che sono alcuni giovani, per fortuna pochi, che non hanno vissuto il prima della riforma, perché giovani, a volere un ritorno 7 al passato solo perché antico e quindi nobile e dignitoso. Ho visto su youtube il video di una celebrazione del rito antico, in canto con tre ministri, e ho pensato una sola cosa: che pena! È arrivato il tempo di guardare avanti e di camminare insieme ponendosi alcuni obiettivi condivisi. L ’Ufficio liturgico nazionale, potrebbe mettersi a capo di questo cammino, invitando intorno a un tavolo tutti i vari contendenti1, e affrontare i temi ancora sul tappeto: la formazione, il repertorio, gli studi musicali, un eventuale direttorio, la liturgia delle Ore, gli aspetti pratici ed economici dei musicisti di chiesa, i vari sussidi e pubblicazioni musicali, gli uffici diocesani di musica sacra. Un’ultima proposta: perché l’Ufficio liturgico nazionale non si attrezza con un ufficio o una sezione di musica sacra al proprio interno? Questi cinquant’anni sono stati un periodo di grandi discussioni, a volte anche di polemiche accalorate che hanno rappresentato il passaggio da un passato glorioso (è stato sempre così?) verso un futuro incerto ma colmo di speranza e di attese. Il presente non è stato un facile periodo di transizione verso una nuova musica; l’augurio è che questo presente diventi meno litigioso e più fecondo in un cammino comune di confronto sereno e condivisione gioiosa. In fin dei conti operiamo tutti per lo stesso fine: la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli.
1) Anni fa mi rimase impressa l’espressione di un vescovo: in riferimento ai musicisti, usò questa frase: «Ah!, voi siete quelli che litigano sempre».